autolesionismo come aiutare

Autolesionismo: come aiutare?

Il sintomo più riconoscibile del disturbo borderline di personalità lo si vede sulla pelle. È l’autolesionismo ma come aiutare? Inizio a parlare di autolesionismo così, per accendere il faro su uno stigma che deve avere i giorni contati.

Breve storia dell’autolesionismo.

Sbagliamo a pensare che l’autolesionismo sia un fenomeno recente, una moda perché il primo caso clinico registrato è del 1896 (Vorona Cote, 2017) ma uomini e donne si sono feriti per secoli senza che nessuno se ne preoccupasse poi molto (Chaney, n.d.).

Ma si sa che il modo più facile di affrontare l’ignoranza (cioè la non conoscenza di un argomento) è trarre rapidamente conclusioni e mettercela via invece di aspettare e approfondire.

Quello che è vero è che si fa ricorso all’autolesionismo sempre prima e sempre di più ed è per questo che dovremmo essere tutti molto più informati e smettere di additarlo come:

  • un tentativo manipolatorio perché tanto non sapete cosa sia nemmeno questo
  • un capriccio perché i capricci non esistono
  • una cosa dell’adolescenza che passa perché vi ricordo che il suicidio è la seconda causa di morta negli adolescenti e che si stima che già dal 2020 diventerà la prima.

Un po’ di dati sull’autolesionismo.

Gli adolescenti che fanno ricorso all’auolesionismo sono aumentati, nel:

  • 2000 erano il 7-14%
  • 2007 il 13-23%
  • 2019 il 13-36%

Tra il 60 e l’80% degli adolescenti che accede ai servizi ha comportamenti autolesivi e il 50% dichiara di aver avuto almeno un episodio di autolesionismo. L’incidenza è maggiore tra chi soffre di disturbo borderline di personalità (tra il 70-75%) o di disturbi del comportamento alimentare (tra il 27-33%).

Un altro aspetto da tenere in considerazione, come dicevo, è che si inizia a farsi male sempre prima, insomma l’età di esordio si abbassa. Il 7-8% delle prese in carico da parte dei servizi riguarda bambini di circa 10 anni e l’incidenza è maggiore a 12, con picchi tra i 14 e i 16.

Ma che cos’è l’autolesionismo?

Tagli, bruciature, schiaffi, graffi… raccontano un dolore, una storia. Vengono usati come risposta ad una crisi da disregolazione emotiva, nella speranza di placare temporaneamente la sofferenza. Ci si sente un pochino meglio dopo perché l’adrenalina accumulata si disperde e si ha anche la sensazione di avere il controllo su se stessi.

Abbassamento dell’ansia.

C’è una predisposizione genetica alla disregolazione emotiva e l’autolesionismo dunque non è altro che una strategia di abbassamento di questa disregolazione.

Punizione autoinflitta.

Capita quando c’è disprezzo di sè, capita di sentir dire “mi odio” o eccessivo controllo ed è un fattore di vulnerabilità specifico (FVS). Conoscere questi fattori vulnerabilità per esempio l’emulazione o il tentativo di mandare un messaggio sociale. È utile a instaurare il dialogo.

Con l’autolesionismo la soglia di dolore fisico si abbassa.

A questo non avevo mai pensato finché non ho partecipato all’ultimo convegno organizzato dall’ospedale San Giovanni Fatebenefratelli di Brescia. Ho ascoltato la dottoressa Arianna Terrinoni – neuropsichiatra al Policlinico Umberto I di Roma, con la fame di sapere e ricordare tutto (altrimenti come avrei potuto raccontarvelo?!).

Torniamo a noi: durante il primo episodio autolesivo l’ansia si abbassa poco o nulla perché il dolore percepito è molto alto. Ogni volta che però questi atti si ripetono si abbassa un po’ di più la soglia del dolore e si alza quella del sollievo psicologico/emotivo. Perché ci interessa? Perché più si ricorre all’autolesionismo e più si genera assuefazione, più si genera assuefazione e più la ferita deve essere importante, più si esagera con la lesione e più c’è il rischio di perdere la vita.

Autolesionismo e sucidio: il binomio da evitare.

Non è un bell’argomento da trattare me ne rendo conto ma se ometto questa parte affronto l’argomento solo a metà. Il suicidio è la seconda causa di morte per gli adolescenti ( tra i 10 e i 24 anni) di sesso femminile e la terza per gli adolescenti di sesso maschile (McKinnon, Gariépy, Sentenac, Elgar, 2016), in America per esempio è la prima (National Institute for Mental Health, n.d.).

Quando si è assuefatti all’autolesionismo basta andare troppo a fondo una volta e si rischia che sia l’ultima.

I genitori in caso di autolesionismo come possono aiutare?

Tanto. Prima di tutto non interrompere mai la comunicazione con i propri figli e cercare di passare regolarmente del tempo di qualità insieme. Non sminuite mai un diagio, un dolore o un dispiacere: ascoltate e sostenete.

Se vi viene confidato o scoprite che c’è stato un atto di autolesionismo non date di matto, non fatevi venire voi una crisi isterica e non giudicate per l’amor del cielo! Nessuno che stia bene e sia felice e sereno si farebbe del male tanto per farlo.

Parlatene e informatevi, anche insieme. Non lasciateli solo a gestirsi il malessere e date il buon esempio non rimanendo soli nemmeno voi. Se non vi sentite all’altezza di essere efficaci, ditelo non c’è niente di male. Non prendete la laurea in psicologia quando diventate genitori.

Procedete insieme, in ogni caso, qualsiasi cosa succeda: fate squadra.  Si può fare molto sia in casa sia fuori casa, la terapia per loro e la psicoeducazione per voi saranno due armi potentissime e combatterete fianco a fianco invece che faccia a faccia.

Bibliografia:

Chaney, S. (n.d.) The history of self-harm: An interview with Sarah Chaney.

McKinnon, B., Gariépy, G., Sentenac, M., Elgar, F.J. (2016, febbraio 13). Adolescent suicidal behaviours in 32 low- and middle-income countries.

National Institute for Mental Health, (n.d.). Suicide.

Vorona Cote, R. (2017, marzo 15). The Misogynistic History of Trying to Understand Women Who Self-Harm.


Pubblicato

in

da

Tag:

Commenti

Una risposta a “Autolesionismo: come aiutare?”

  1. Avatar Marilisa
    Marilisa

    Sono Marilisa e vorrei fare parte del gruppo genitori. Ero a Padova e sentirvi mi ha riscaldato il cuore…