Chi è il tutor e perché dovresti averne uno

La figura del tutor è collegata ad un ambito scolastico più che terapeutico ma come un buon tutor può essere risolutivo nella preparazione ad esempio di un esame, anche in psicoterapia e sopratutto nel trattamento di alcuni disturbi può davvero fare la differenza.
Una delle principali difficoltà dei pazienti borderline e delle loro famiglie è quella di contenere le emozioni, specialmente quando queste si fanno troppo intense e si parla dunque di disregolazione emotiva. La disregolazione emotiva sfocia spesso nel comportamento disfuzionale o nella crisi vera e propria. In entrambi i casi bisogna prestare attenzione al soggetto perché potrebbe mettersi in pericolo e questo pericolo trasforma l’urgenza di uno nell’urgenza di tutti.
Quando questo avviene cioè quando quella che abbiamo chiamato ‘urgenza’ viene condivisa si crea la condizione più ansiogena: la persona da contenere si accorge di non avere contenitore. In questo caso si perde la lucidità e alzandosi il livello di vulnerabilità è più probabile che si cada nella spirale che porta appunto dalla disregolazione alla crisi. E’ qui che subentra la figura del tutor: uno specialista che si prende cura del paziente non solamente in seduta ma 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e che potendo essere contattato telefonicamente e conoscendo la storia clinica del singolo è in grado di suggerire la strategia più adatta a fronteggiare il momento.
Sia la terapia GET del dott. Visintini che la DBT della dott.ssa Linehan – entrambe evidence-based, cioè provate essere efficaci sul disturbo nel lungo periodo – prevedono il ricorso a questo tipo di figura. Il paziente borderline infatti avendo un’identità nebulosa prova un costante senso di vuoto che, quando si fa più pressante, diventa insopportabile e questo spiega tutti quei comportamenti, sfoghi, ingestibili per le famiglie.
Il tutor diventa così un punto di riferimento non solo per il paziente ma anche per coloro che lo circondano, che si sentiranno sempre meno isolati.
Il suo intervento non si limita solo al momento della crisi ma continua e si potenzia nell’andare avanti della terapia, fino ad insegnare al paziente a riconoscere il momento in cui ci si sente maggiormente vulnerabili e dunque a chiamare prima di dare sfogo a quello che viene tecnicamente chiamato “agito”.
L’agito non è altro che l’ultima scelta che la persona sente di avere per poter riempire il senso di vuoto che lo destabilizza, ad esempio: abuso di alcol, farmaci o stupefacenti, atti di autolesionismo, sesso promiscuo, episodi bulimici, anoressia, gioco d’azzardo, tentativi di suicidio, comportamenti pericolosi alla guida. Il tutor aiuta in maniera sempre più efficace, grazie alle sue competenze, non solo ad affrontare l’emergenza ma anche ad appropriarsi delle strategie che renderanno il ricorso all’agito sempre meno necessario fino a sostituirlo con un uso più appropriato del pensiero.

 


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