Borderline: i pazienti difficili

 Alzi la mano chi non ha sentito dire almeno una volta che le persone che soffrono di disturbo borderline sono: inaffidabili, disfunzionali, esagerate, ingestibili, infantili, capricciose, deboli, manipolatrici, facili, inconcludenti, bugiarde e chissà quanto altro. Sembra che non ci sia una reale consapevolezza, neppure da parte di tanti terapeuti, di quale sia la differenza tra le scelte dell’individuo e la lotta quotidiana con il disturbo.
Essere border (come ci si chiama quando si viene diagnosticati) invece non è affatto una scelta e allo stesso tempo non è una garanzia, questo significa che ogni paziente borderline è diverso dall’altro. E’ vero. il vuoto che si sente è sempre lo stesso e anche la disfunzionalità nell’affrontarlo ma perfino le crisi differiscono l’una dall’altra c’è chi è più ansioso e chi è depresso, chi sviluppa un atteggiamento evitante e chi si butta in ogni situazione, chi abusa di sostanze e chi è ossessionato dal controllo. Come dicevamo ci sono dei lati problematici in comune ma per fortuna non sono i soli.
Chi soffre di disturbo borderline ha anche dei notevoli punti di forza, che a volte neppure lui è in grado di vedere.
La dott.ssa Claudia Cortesan, si occupa di pazienti borderline al San Raffaele di Milano da più di cinque anni e da più di due nella comunità Artemisia junior ed è proprio lei a scrivere le parole che ogni persona diagnosticata con questo disturbo dovrebbe leggere.
Li chiamano “i pazienti difficili”. Ho iniziato a lavorare con pazienti borderline quando ancora non potevo prenderli in carico, da tirocinante il massimo che potevo fare era assistere a dei colloqui. Ricordo che la prima cosa che mi colpì, fu questa loro strana capacità di “sentire oltre”, oltre l’apparenza, oltre ciò che altre persone sentivano, oltre ciò che loro stessi a volte erano in grado di tollerare. Era come se fossero senza pelle, esposti alle turbolenze del mondo.
Col passare del tempo, conoscevo sempre più pazienti affetti da questo disturbo, e ogni volta mi si spalancava davanti un universo, fatto di impulsività, autolesionismo, incapacità di tollerare emozioni troppo forti, rabbia esplosiva, ansia costante, senso di abbandono. Un universo complesso, con un suo preciso ordine: era un po’ come se dietro tutta quell’esplosività ci fosse una sorta di purezza, che permetteva loro di lasciarsi ferire facilmente dagli eventi e dalle altre persone, causando cicatrici pressoché indelebili.
 
Se si prende in prestito la loro capacità di andare oltre e si sceglie di guardarli davvero, oltre che di sentirli, si scoprono persone dotate di un qualcosa in più, una specie di forza, in termini tecnici potremmo parlare di resilienza, vale a dire la capacità di un materiale di ritornare alla sua forma originaria in seguito a una pressione esterna che ha generato un cambiamento, che dà loro la possibilità di sopravvivere ai molti eventi dolorosi che solitamente sono avvenuti e avvengono nella loro vita. Le persone affette da questo disturbo tentano di autoripararsi, spesso in maniera disfunzionale ed è per questo che sempre di più trovano il coraggio di chiedere aiuto, ma dietro ogni loro comportamento poco efficace vi è una grande creatività e, paradossalmente, una forma di protezione verso loro stessi.
 
Molti di essi amano l’arte, in tutte le sue espressioni e sanno dare forma alla sofferenza che provano, in un modo estremamente autentico e creativo; altri amano lo sport, al punto da sacrificare ore e ore di tempo libero senza il minimo rimpianto e trovando nella fatica una spinta ad andare avanti; altri ancora sono ipersensibili, è sufficiente uno sguardo perché capiscano come mi sento, a volte ancora prima che io stessa me ne accorga. In questi anni, di pazienti borderline ne ho visti diversi, ognuno con il loro peculiare modo di esprimere la sofferenza e posso dire di aver imparato e di imparare ogni giorno qualcosa da loro.
Mi hanno insegnato che tutti gli esseri umani hanno dei nuclei di fragilità, che, se accettati, possono divenire grandi punti di forza. Ricordo una paziente, che sto ancora seguendo, tormentata dalle poesie dei grandi “poeti maledetti” e dai romanzi drammatici, che non faceva che leggere, perdendosi nella spirale del dolore che continuavano a causarle; oggi ha imparato a convivere con quella sofferenza, è riuscita a pubblicare un libro e non ha smesso di scrivere. Ne ricordo un’altra, con la madre alcolista, che dopo anni trascorsi a cercare una ragione e un senso a tutto ciò che ha vissuto, oggi non esita ad aiutare chiunque abbia a che fare con le tossicodipendenze. E ancora un’altra, divenuta tatuatrice per far emergere un disegno da tutte le cicatrici presenti sul suo corpo. Infine, l’ultima, spaventata dalla vita, ma capace di comporre melodie e quadri in grado di raccontare la sua storia e il suo complesso mondo emotivo. Credo però che la cosa più importante e preziosa che mi hanno insegnato, sia che se si sostituisce la paura che a volte trasmettono con la curiosità di conoscerli e capirli, si provano sensazioni ed emozioni uniche, che possono tranquillamente essere condivise, andando a creare un legame di fiducia fondamentale (e indimenticabile!) per una riuscita efficace della terapia.”
 

 


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