Non è un disturbo per vecchi

La diagnosi è disturbo borderline di personalità e ti dicono che c’è poco da fare ma se hai tempo di aspettare e sopportare pazientemente prima o poi il disturbo sparirà da solo. Come fosse una roba da giovani ribelli e pieni di energie che ad un certo punto cresceranno e i capricci lasceranno il posto alla ragione e ad un maggior senso della realtà e della responsabilità. ‘Bella fregatura!’ ho sempre pensato io, l’a sintomatologia fa il suo esordio in adolescenza e mi tocca aspettare 10-15 anni, se va bene, fra tormenti e pericoli prima di far pace col cervello’ – perché di questo si tratta. Pare.

Si farebbe prima a dire chiaramente che non si sa dove mettere le mani – e qualcuno lo fa – e così si alimenta l’idea che sia una questione caratteriale quasi una scelta quella di avere un disturbo di personalità e che i terapeuti hanno altri pazienti più meritevoli, con problemi ‘veri’ o più miti a cui badare. Badare come badanti, curioso come escano fuori le parole e così arriviamo al punto: la vecchiaia.

Ci sono casi (molti) in cui la deduzione di cui sopra non funziona e il disturbo non trattato rimane anche in età avanzata. Più di un nostro lettore ma una in particolare, alla quale siamo affezionati, torna delicatamente e ciclicamente a chiederci di parlare anche di loro perché la verità è che il disturbo borderline non passa affatto da solo e anzi è dimostrato che se non trattato, col tempo si cronicizza, aumentando il rischio di disturbi anche fisici e nei casi peggiori portando all’istituzionalizzazione.

Una delle sfortune di avere una comunità scientifica competente ma poco loquace è che le informazioni importanti circolano solo nell’ambiente medico delle eccellenze, che per fortuna ci sono, lasciando tanto tempo ai terapeuti e non solo, più approssimativi, di diffondere notizie false o poco aggiornate. Non riesco a frenare la polemica in questo caso perché non stiamo parlando di questioni di principio ma della vita verissima di tanta tanta gente. Un’altra controindicazione della timidezza dei terapeuti competenti e dei ricercatori è che si finisce per fare diagnosi poco e male al di fuori di alcune isole felici e con le persone ‘di una certa età’ questa pratica arriva ai livelli della rassegnazione. Insomma se non sei stato diagnosticato tra i 18 e i 30 peggio per te!

Un problemino si riscontra anche nel caso in cui la diagnosi sia stata fatta per tempo ma non sia stato adeguatamente trattato il disturbo e quindi ci si stia ancora portando dietro quei sintomi che, ricordiamo, non ci dovrebbero più essere. Ci si sente ghettizzati e si ha paura di parlare ‘chissà cosa pensano‘, ‘meglio lasciar perdere‘, ‘tanto non c’è più nulla da fare‘, ‘chi io?!‘ perciò ottenere informazioni dai diretti interessati diventa un’impresa. Come fare? Bisogna andare oltreoceano per parlare più liberamente ma non c’è nemmeno bisogno di spostarsi da casa, basta trovare un gruppo segreto su Facebook – uno di quei gruppi nei quali si accede solo su invito – nel quale scambiarsi informazioni senza il timore dello stigma e del dito puntato.

Cinque delle sette persone con le quali ho parlato mi hanno dato il permesso di raccontare la loro storia a patto di cambiare il nome. Probabilmente se avessi aspettato ancora un pochino avrei ottenuto anche gli altri due consensi sapete, il fuso orario… ma avevo fretta di mettere tutto nero su bianco per evitare di dimenticare qualcosa.

La persona più giovane con la quale ho avuto il piacere di chattare è Marty, in realtà Martina di famiglia argentina di origini italiane, trasferiti in America da quando era molto piccola. È una di quel 60% di persone diagnosticate borderline con trascorsi traumatici di violenza sessuale e fisica. Inizia la trafila che in tanti conosciamo intorno ai 21 anni e dopo quattro o cinque diagnosi diverse e terapie annesse, approda al disturbo borderline con l’aggravante del PTSD. Adesso ha 31 anni e segue gruppi DBT una volte a settimana più quelli degli alcolisti anonimi 3 volte a settimana e prende regolarmente terapia farmacologica. A questo proposito dice “da quando mi hanno restituito l’ultima diagnosi la terapia farmacologica è più stabile e mi sento decisamente meglio. Mi figlia ha 15 anni oggi e grazie ai gruppi sto recuperando il rapporto con mia madre. Dopo tutto quello che mi è successo (più di un abuso sessuale e un tentativo di omicidio da parte di un compagno violento) mi sento miracolata ad essere ancora viva. Non sono fuori dal disturbo e ancora mi sento spesso di merda ma miglioro di giorno in giorno. Sono grata di potermi prendere cura di quell’angelo di mia figlia. C’è sempre speranza!”

A rispondere per prima al mio post è stata invece Thea una signora texana di 51 anni, un sorriso pazzesco e super disponibile, una di quelle persone che ti mette di buon umore. Ha finito il suo percorso di DBT un anno fa, seguiva i gruppi due volte a settimana. Da quando le è stata restituita la diagnosi ha seguito la terapia con una convinzione e un impegno totali, si è sentita capita “ho imparato che devo prendermi cura delle emozioni giorno per giorno per vivere una vita appagante“. L’esperienza è stata talmente edificante per lei che è diventata un Mental Health Advocate e adesso gira l’America raccontando la sua storia per aiutare chi non è ancora riuscito ad avere accesso alle cure.

Sara soffre moltissimo la disregolazione emotiva e convive quotidianamente con angoscia e solitudine. Da fuori non lo direste mai, è una libera professionista del Maine e sia negli studi che sul lavoro è riuscita a costruire un percorso e una carriera di successo anzi, da quello che mi ha raccontato, direi che la carriera è proprio l’ambito della sua vita nel quale Sara riesce respirare un po’ e a trovare sollievo. È la sfera privata che le riserva purtroppo i drammi maggiori. Conserva i diari che ha iniziato a scrivere quando aveva 10 anni e nei quali già documentava le crisi, ha ricevuto la diagnosi di disturbo borderline solo a 36 anni. Oggi ne ha 57 e sente ancora la sintomatologia come debilitante e fa molta fatica a spiegarsi con suo marito, che è la persona con la quale si attiva più facilmente. Ha già completato 3 serie di terapia DBT e è entrata a far parte del gruppo Facebook per avere un sostegno facilmente reperibile da parte di suoi pari.

Una delle mie preferite è sicuramente Kelly, una signora filippina di 51 anni che ha avuto la diagnosi quando ne aveva 42. Ha una splendida famiglia e due bellissimi nipotini. Quando ha avuto il crollo nervoso le sono stati tutti vicino e il loro ruolo nel suo processo di guarigione è stato decisivo. Ha seguito un percorso DBT in Day Hospital per un anno, gruppi 3 volte e settimana più un incontro individuale a settimana. Finito l’anno ha seguito un ulteriore gruppo settimanale che l’ha aiutata a reinserirsi nella quotidianità senza il supporto costante del day hospital. Oggi prosegue la terapia individuale con il terapeuta DBT conosciuto quattro anni fa ma senza più far riferimento al disturbo: “vedo ancora il mio terapeuta ma direi che i sintomi non sono più quelli del disturbo. Sono mutati a seguito della terapia proprio come sono cambiata io.

L’ultimo esempio che vi porto è quello di Sam, la signora più anziana (anche se riferito a lei mi fa strano usare questa parola) con la quale ho avuto il piacere di parlare. Ha 64 anni e la diagnosi è arrivata a 59. I sintomi erano molto forti e aveva combattuto per decenni con la depressione, quando le hanno finalmente diagnostica il DBP era stanca di medici, terapie e percorsi. Il suo carattere volitivo però ha avuto la meglio e si è buttata per l’ennesima volta in questa sfida del resto, come dice lei, “cos’avevo da perdere?“. Ha iniziato un percorso MBT che continua ancora oggi e in più si sottopone 5 volte a settimana a TMS (stimolazione magnetica transcranica) e ha ritrovato un’energia che non credeva di poter avere. “Mi sentivo da buttare quando mi hanno prospettato questa nuova possibilità, mi sentivo uno schifo da tutta la vita e se ne uscivano con l’ennesima cosa senza speranza. Sciocchezze! Non mi sono mai sentita bene come ora. A volte mi rattristo come tutti, ho un attacco d’ansia qua e là ma chi non ne ha? Se dicono di no, beh, io non ci credo, siamo umani, tutti stiamo male prima o poi.” Ha un’energia è incontenibile e nel gruppo non perde occasione di dare sostegno, è una di quelle persone che fanno la differenza con le sue risposte brevi ma puntuali. “Bisognerebbe prendersi cura di tutti perché tutti abbiamo un valore immenso l’uno per l’altro e poi fare distinzioni in base all’età è un po’ razzista non ti pare? Chi lo dice che non ho la stessa possibilità di uno più giovane di fare qualcosa di grande con la vita che mi rimane?


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Una risposta a “Non è un disturbo per vecchi”

  1. Avatar MARGHERITA GRUMI
    MARGHERITA GRUMI

    grazie per l’articolo…effettivamente anche a noi hanno detto che i Border di una certa età sono il risultato di diagnosi tardiva e inadeguata presa in carico