Borderline e terapia: perché non funziona? Le funzioni esecutive

Terzo dei tre post dedicati agli studi di Anthony Ruocco – Assistant Professor presso l’Università di Toronto Scarborough e ricercatore nel Clinical Neurosciences Laboratory della stessa università – con i quali abbiamo iniziato a spiegare in che modo il disturbo borderline intacca gli aspetti cognitivi dal soggetto diagnosticato. Abbiamo iniziato parlando dell’attenzione poi la memoria e ora delle funzioni esecutive. Ricordiamo che le difficoltà registrate nei soggetti durante gli studi e delle quali stiamo scrivendo NON riguardano la disregolazione emotiva ma la quotidianità della persona quando non è in crisi

Quello che ci ha spinto ad affrontare questi argomenti è una domanda ricorrente: “perché la terapia con lui/lei non funziona?” e parte della risposta è nascosta qui, nelle problematiche cognitive del paziente borderline. Per lavorare correttamente in sede di terapia infatti la persona dovrebbe poter utilizzare l’attenzione, la memoria e le funzioni esecutive perché se una sola di queste tre aree è compromessa lo sarà anche il lavoro con il terapeuta. Maggiori saranno le difficoltà con le funzioni esecutive e memoria visiva maggiore sarà la probabilità che il paziente abbandoni la terapia.
Le funzioni esecutive sono ciò che regola le capacità di pianificazione, problem solving e gestione degli impulsi tre aspetti che, come sappiamo, vengono sempre messi fortemente alla prova dal DBP ma come si traduce nella pratica un problema cognitivo di questo tipo? Con dei problemi a scuola ad esempio. Non solo ragazzi con disturbo borderlina ma anche studenti con dislessia, ADHD e disturbo della condotta riscontrano dei deficit nelle funzioni esecutive, purtroppo però quando vengono fatte segnalazioni in questo senso vengono troppo spesso derubricate dalla famiglia come mancanza di volontà dunque non trattate o trattate con molto ritardo.
Immaginiamo che uno studente abbia un problema con la pianificazione come potrà organizzare il pomeriggio di studio senza supposto adeguato? Difficoltà nel problem solving potrebbe rendere difficile rispondere ad un certo tipo di domanda nelle interrogazioni orali. Se ad essere coinvolta invece è la gestione degli impulsi potrebbe essere facile preda della frustrazione quando pensa di non essere in grado di eseguire il compito (tipico degli scritti) e quindi compromettere la prova. Ecco tutte queste situazioni sono ovviamente da valutare con degli specialisti adeguatamente formati e se li consideriamo alla luce del disturbo borderline diventano ancora più complessi da gestire.
Quando si hanno dubbi di questo genere la figura di predilezione per la valutazione è quella del neuropsicologo, nel momento in cui la situazione sarà più chiara, bisognerà comunicarla al terapeuta di riferimento e alla scuola, in caso la persona ne stia frequentando una. Queste informazioni sono oro, vi invitiamo dunque a non sottovalutarle o sminuirle. Cosa si può fare a questo punto?
  • Prima di tutto parlare apertamente: bisogna che il soggetto in questione sia consapevole delle sue difficoltà
  • Scrivere può essere di grande aiuto ma anche in questo caso bisogna imparare a farlo con criterio. Compilare una lista come fosse la lista della spesa non sarebbe sufficiente, bisogna trovare una modalità che riesca a coinvolgere
  • Scegliere terapie adeguate. Nel GET® (Gruppi Esperienziali Terapeutici) per esempio è prevista la frequentazione di un gruppo di pianificazione che sostiene proprio in questo tipo di necessità.
La valutazione è utile anche in persone più anziane? Assolutamente si. Nonostante la mente sia sempre meno malleabile col passare degli anni bisogna sempre considerare che 1) la consapevolezza del problema 2) la bravura del terapeuta 3) la volontà del paziente sono tutto ciò che serve per ambire ad un miglioramento e per quanto piccolo possa sembrare l’impatto sulla quotidianità sarà comunque significativo.

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