I disturbi di Lady Gaga in un documentario su Netflix

 Non so se vi ricordate quando nel 2011 uscì il video della canzone Marry The Night, quello che comincia con Lady Gaga ricoverata in un ospedale psichiatrico dopo un tentato suicidio, se non ve lo ricordate ho inserito il link al video nel titolo così potrete rivederlo senza neppure bisogno di googlarlo. All’epoca non ero stata neppure diagnosticata ma c’ero vicina e ricordo di essere rimasta molto colpita dalla sua scelta sopratutto perché sia l’ambientazione che la sua interpretazione mi erano sembrate fin troppo realistiche, voglio dire che nonostante fosse evidente che stessi guardando un video musicale, mi sentivo toccata da qualcosa di autentico.
Il testo stesso della canzone era già particolarmente evocativo, parlava della ricerca della forza la dove sta mancando: I’m gonna marry the dark/Gonna make love to the stark/I’m a soldier to my own emptiness/I’m a winner (trad.: sposerò la notte/farò l’amore con la desolazione/sono un soldato al servizio del mio senso di vuoto/sono una vincente) insomma mi piaceva parecchio. Quella che poteva sembrare una trovata un po’ paracula per accaparrarsi un’altra fetta di fan – quelli un po’ disturbati – era invece un’esigenza di Germanotta: parlare chiaramente del suo malessere per fare la stessa cosa che fa in quella canzone cioè farsi coraggio.
Arriviamo ai giorni nostri perché è uscito il documentario Gaga: un metro e 55 che la riprende nell’arco di tempo di un anno della sua vita rivelando quei particolari che tendenzialmente, non solo un VIP ma anche una persona qualsiasi, vuole nascondere. La lotta costante col lupus una malattia cronica autoimmune che ha ucciso sua zia Joanne e le causa dolori costanti, il disturbo da stress post traumatico, le visite mediche, i pianti e l’altra faccia della medaglia: la grandezza che contraddistingue i suoi show, la ricchezza degli abiti di scena, i progetti e le personalità importanti con le quali ha rapporti ogni giorno e il mare sterminato di gente che la segue.

Non riesco a non fare paragoni fra me e lei, le giornate di entrambe sono fatte di 24 ore eppure non mi sognerei nemmeno lontanamente di lavorare a quei ritmi anche con uno stuolo di professionisti al seguito. E io sto bene. Sto bene perché tutto quello che ha lasciato il disturbo dietro di se è un’ipersensibilità con la quale riesco a convivere ma come per ogni essere umano ci sono giornate in cui non vorrei uscire di casa, momenti di abbrutimento che è meglio lasciare dove competono cioè sotto il piumone sul divano. Ci sono momenti in cui non mi piaccio, in cui vorrei una vita diversa, un lavoro diverso, più soldi, più tempo, meno chili… ma il punto è che quando mi serve posso chiudere la porta dietro le spalle e pensare solo a me.
Lady Gaga è un personaggio che non può permettersi tutto questo, basti vedere la ferocia con la quale si demolisce un cd, un video, una scelta commerciale, con la quale si dice “con tutti quei soldi starei bene pure io” oppure “è tutta una finzione”, “parla bene lei!” ma quando diciamo tutto questo stiamo parlando dell’artista o della persona? È così impossibile credere che nella sofferenza si possa creare qualcosa di tanto grande? Davvero per avere successo bisogna essere perfetti, invincibili? L’ho pensato quando non riuscivo a fare niente, quando anche l’operaio in cantiere mi sembrava più felice di me ma, anche lì, era il dolore a parlare, il forte senso di inadeguatezza perché in fondo in fondo volevo che qualcuno mi provasse che potevo fare bene anche così.
Io non sono Gaga, non ho nessuna delle qualità che ha lei e che le permettono di stare su un palco, sotto i riflettori a fare quello che fa ma mi piacciono la sua musica e il suo stile così esagerato, carico. È un’artista che fa sognare chi la guarda, in questi giorni sarebbe dovuta essere a Rio de Janeiro per un concerto ma ha dovuto rinunciare proprio a causa dei suoi disturbi. Io per fortuna dovevo disdire solo gli inviti a cena!

 


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