I borderline sono un’isola: la solitudine di essere divisi tra vita e terapia

Le persone con disturbo borderline sono isole. Se dopo la diagnosi hanno la fortuna di intraprendere un buon percorso di terapia, allora le loro vite splittano, tra ‘quando sono nel setting terapeutico’ e ‘quando sono nella quotidianità’. Il rischio è la solitudine.

Questo pensiero l’ho maturato grazie all’incontro del 27 ottobre scorso, all’Ausl di Villa Mazzacorati a Bologna. È durato tre ore ma sono sembrate molte di più. Sarò sincera, rispetto a quello di Reggio Emilia è stato più pesante per noi da gestire e le domande sembravano più confuse. Le persone erano a volte perse, a momenti invece torrenti in piena. In alcuni casi avevo la sensazione di perdere la loro attenzione, in altri pareva non volessero smettere di sentirci parlare.

Il punto

È esattamente questo quello che succede quando non c’è abbastanza condivisione, quando il paziente tornando a casa non ha un contesto che lo abbracci e lo aiuti a rielaborare quello che ha imparato in terapia. Se non avete familiarità con la terapia bisogna sappiate che non si parla e basta. Quello che succede in quel momento è molto simile ad una lezione frontale, che sia individuale o gruppale, è anche un momento di studio. Quando varchi la soglia dello studio o della struttura sei un po’ scienziato. Non ne sto parlando romanticamente, sono molto concreta: basti pensare che in quel contesto stanno imparando – nello stesso identico modo – sia i pazienti che gli specializzandi.

I terapeuti che non insegnano a coloro che hanno di fronte, li privano di un’opportunità straordinaria e probabilmente i loro pazienti migliorano più lentamente. Io ho una memoria particolare, ricordo distintamente quasi tutto quello che mi è stato detto durante la terapia ed è stato indicibilmente utile quando, tornandomene a casa, dovevo metterlo in pratica.

Rimettendo ordine nel caos nel quale ci siamo immersi, tutti insieme sabato scorso, ho capito cosa non ero riuscita prima a comprendere.

Ogni persona presente in quella sala ci stava chiedendo fortemente come fare per sentirsi meno sola.

Conosco bene quella solitudine e riconosco quanto è stata fondamentale la presenza di mio marito che, dopo ogni seduta, ascoltava interminabili racconti ed era per altro l’unico riferimento, in una città che non era la mia.

La falla

Entrata a Turro, nel patto terapeutico c’era scritto che non potevamo incontrarci con le compagne di gruppo, al di fuori del contesto protetto dell’ospedale. E io mi sono sempre attenuta. Non sono scioccata però nel sapere che c’è chi non riesce a rispettare questa clausola. Quando incontri delle persone che ti capiscono quando stai male e non si spaventano durante le crisi ma piangono con te e ti tirano su il morale a qualsiasi ora, non le vorresti lasciare più. Sapete perchè? Perchè a casa non è così. Fuori dal contesto terapeutico non è così, non si tratta di “cattive compagnie” come qualche genitore potrebbe pensare, bensì di socializzazione. Tutti abbiamo bisogno di amici e i compagni di terapia sono molto spesso, quanto di più vicino ad un amico, si sia mai sperimentato.

L’intervento

Per sentirsi meno soli con la propria condizione, l’unica vera possibilità è quella di avere intorno persone meno impreparate e giudicanti. Per far sì che il contesto cambi c’è bisogno dell’aiuto di tutti:

  • di servizi che permettano la socializzazione, accogliendo pazienti e parenti, seguendo entrambi. Una possibilità potrebbe essere quella di uno sportello o di un numero telefonico dedicato oppure di uno spazio riservato a chiacchiere e riunioni programmate.
  • che i terapeuti siano più pronti a mettersi sullo stesso piano del paziente perché la terapia riesce se si lavora in squadra. Ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che il contatto con il medico, sopratutto lo psichiatra, è troppo freddo e sbrigativo
  • infine che i pazienti siano creativi e si mettano in gioco, ognuno con le proprie peculiarità, per modificare la loro realtà integrando vita privata e terapia. Se avete delle idee, dei bisogni, dei desideri tirateli fuori. Che sia in un blog, su Instagram, a scuola o chissà dove altro, raccontatevi, parlate non abbiate paura. Prima o poi arriverete proprio dove stavate cercando di andare.

 


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Commenti

2 risposte a “I borderline sono un’isola: la solitudine di essere divisi tra vita e terapia”

  1. Avatar Valentina
    Valentina

    Vi sono poi diversi livelli di solitudine che un paziente in terapia subisce: la più dolorosa è quella legata alla stigmatizzazione che chi ha subito la compagnia di un border, ormai sfinito da una terapia che abbisogna di tempo e comprensione, spesso compie sul border. Una stigmatizzazione che spesso viene sintetizzata con termini quali pazza, malefica o altro di doloroso . Unsecondo livello di solitudine la si prova con chi durante la terapia sentenzia al border:”stai meglio non è il caso di smettere con la terapia? Stai solo spendendo soldi per non prenderti responsabilità”. Mi è stato diagnosticato un disturbo da stress post traumatico che è colmato in una deriva di tendenza borderline. La mia vita negli ultimi otto anni è stata infernale. Come film sarebbe stato interessante ma viverlo alla fine lascia troppe cicatrici. La solitudine in cui si sprofonda, soprattutto se coinvolge gli aggetti cari, è insopportabile.
    Coraggio

  2. Avatar Margherita Grumi
    Margherita Grumi

    buon giorno, condivido! la solitudine non è solamente essere soli fisicamente, essere soli nel sensi di incompresi, non accolti, non ascoltati, ma anche essere soli a sopportare un peso, economico, organizzativo e sociale che se invece fosse meglio distribuito, permetterebbe ad ognuno di fare più strada perchè a volte il percorso si interrompe perchè è troppo stancante e da soli non si riesce ad autorigenerarsi…
    credo anche però che alcuni professionisti abbiano paura di famigliari con le p…, nel senso che abbiano paura che siano gli stessi famigliari, una volta formati e resi “esperti”, a raccogliere più consensi e credibilità rispetto a loro…si, ad un certo punto quando un gruppo “funzionsa” cè come una paura di perdere “potere” da parte di alcun professionisti…