Terapie specifiche per il disturbo borderline di personalità e dove trovarle.

Il disturbo borderline di personalità è un disturbo trattabile e la prognosi è buona. Se vi dicono il contrario non vi fidate, se vi dicono che non si può fare niente non vi fidate, se vi dicono che al massimo si può gestire cambiate terapeuta.

Mi tirerò dietro gli anatemi di un sacco di professionisti dopo questa intro ma se leggeranno fino alla fine del post forse capiranno che il mio discorso non è poi così peregrino.

Ognuna di noi ha dovuto aspettare a lungo prima di trovare la sua oasi nella terapia specifica per il disturbo borderline e finalmente accettare che saremmo riuscite a domare il borderline che era in noi.  Ognuna di noi si è fidata, ha preso farmaci, ha frequentato studi medici e ha fatto terapie di vario genere prima di approdare a quella risolutiva e proprio come noi, la maggioranza di chi ci scrive si chiede: chi posso contattare? Di chi mi posso fidare?

Esistono terapie specifiche per il disturbo borderline di personalità?

Sì, più di una. Si chiamano terapie evidence-based cioè basate sull’evidenza scientifica del fatto che funzionano. Chiariamo che per evidenza scientifica si intende che questo successo è replicabile cioè con trovano 1) lo stesso giovamento 2) dalla stessa terapia un certo numero di persone con 3) lo stesso problema.

Evidentemente la psicologia, come anche la medicina, non è una scienza esatta al pari della fisica o della chimica perché c’è la variabile più grossa di tutte: l’essere umano. Con il suo carico di genetica e l’influenza dei fattori ambientali, sociali e personali. Quindi è fuffa? Ma anche no! L’oncologia è fuffa perché alcune persone ancora muoiono di tumore? No. La terapia genica è fuffa perché ancora non c’è cura a molte malattie genetiche? No, ci stanno arrivando.

La psicologia e la ricerca psicologica non sono fuffa, funzionano ma se si cerca uno specialista per trattare un problema di salute mentale e non per affrontare una situazione nel range del benessere psicologico, allora meglio sapere che quel professionista è preparato ad affrontare il nostro specifico problema.

Quali sono queste terapie specifiche per il disturbo borderline?

Prima di elencartele ti devo dire che se da un lato esiste prova della loro efficacia, non esiste prova che una sia più efficace dell’altra. Quindi, se ti capiterà di intraprendere un percorso di DBT ma sentirai che qualcuno trova giovamento dal suo percorso MBT non pensare che il tuo sia peggio, sono semplicemente diversi. Continua però ad avere fiduacia nell’alleanza terapeutica stabilita con il tuo psicoterapeuta (approfondisco tra un attimo) e vedrai che andrà bene lo stesso.

Le terapie a cui facevo riferimento e che elencherò in parte, sono davvero tante:

la TCC- Cognitive la DBT – Dialectical Behavioral Theray è ormai anche la più reperibile in Italia. Per la MBT – Mentalization Based Therapy, stanno iniziando a fare dei corsi più regolari. La TFP – Transference Focused Psychotherapy, che io sappia è fattibile a Parma presso il PD Lab. Per trovare un terapeuta ACT – Acceptance & Commitment Therapy, vi consiglio di guardare il sito dell’Associazione ACT Italia. Per praticare la GET® – Gruppi Esperienziali Terapeutici (forse non è ancora evidence-based ma sta uscendo il manuale) visitate il sito dell’Associazione GET®. La TMI – Terapia Metacognitiva Interpersonale, non sono sicura sia già evidence-based ma sembra stia dando buoni risultati, visitate il sito del Centro TMI di Roma.

Molte terapie specifiche per il disturbo borderline non le ho inserite nell’elenco perché non Italia non ho trovato centri che le propongono ma se ne conoscete qualcuno, scrivete e le aggiungerò volentieri.

La questione della diagnosi che non si vuole cercare o restituire.

Questo è un problema reale di comunicazione tra terapeuta e paziente. Ci sono casi in cui non c’è una diagnosi da restituire. Significa che il confronto con il terapeuta e il procedimento diagnostico non hanno trovato niente di non fisiologico. Insomma è tutto nella norma.

In altri casi invece di ‘normale’ (inteso come fisiologico) non c’è niente e quelli sono i casi in cui il paziente andrebbe adeguatamente psicoeducato. La psicoeducazione è ciò che permette di capire perché fuzioniamo in un certo modo in certe occasioni e quindi ha almeno due vantaggi evidenti: il primo è che alcuni timori si risolveranno nell’immediato, il secondo che posso monitorarmi da solo anche quando la mediazione del terapeuta non c’è.

Leggi cosa ne pensa il primario del reparto di psichiatria del San Raffaele di Milano, Cesare Maffei in proposito.

Qua non stiamo parlando di un’influenza, che non c’è bisogno che ti spieghi per filo e per segno di cosa si tratta perché l’hai avuta decine di volte nel corso della vita e sai che sopravvivi. Parliamo di un problema invasivo, che ha il potenziale di mettere fine alla vita di una persona, tra l’8% e il 10% dei pazienti borderline si suicida, è un numero altissimo! (Sack, 2015).

Perché il terapeuta non vuole restituire la diagnosi?

Alcuni amici terapeuti mi hanno detto che gli viene insegnato così ma è un metodo vecchia-scuola. La prima cosa che voglio dire in proposito è che non esiste alleanza senza rispetto e senza fiducia. Entrambi vanno dati prima di essere richiesti.

“Eh, ma se poi il paziente legge qualcosa sul disturbo e inizia a imitare i sintomi?” Prima di tutto non si può fingere il disturbo mentale se questo non c’è. Secondo poi è un’ottimo indicatore per il terapeuta: quali aspetti imita? Quando? Perché proprio quelli e non altri?

“Ma se il paziente si butta giù e decide di essere un caso irrecuperabile e lascia la terapia?” Siete proprio voi terapeuti che mi avete insegnato che la terapia non si può fare al posto del paziente. Se non vuole fare terapia è un suo diritto, se si vuole buttare giù anche quello è un suo diritto. Non è detto che non possa tornare sui suoi passi.

Il modo migliore per evitare che si deprima o si arrenda è spiegare molto bene la diagnosi, cos’è, come funziona e qual è la vostra proposta di intervento e poi chiedere se è tutto chiaro e in caso rispiegarlo di nuovo. È un’alleanza non qualcosa che fate piovere dall’alto (come forse vi è stato insegnato). Abbiate fiducia in voi stessi! E ricordatevi che una recente sentenza della Cassazione n. 10424 del 15 aprile 2019 ha riconosciuto la risarcibilità di una diagnosi non tempestiva perchè l’individuo “deve poter scegliere “che fare” e “di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche” (Maurer, 2019, para. 8).

L’alleanza terapeutica la vera protagonista invisibile di questa storia.

A parità di terapia evidence-based quello che fa differenza è il rapporto di fiducia che si instaura con lo psicoterapeuta. Non siamo macchine, lo dico spesso ma esseri umani. Quello che cura le paure non sono le informazioni (quelli sono i timori) ma le rassicurazioni che vengono solo dal calore, dall’accoglienza di un altro essere umano.

Ai terapeuti consiglio di leggere e rileggere Rogers e Gunderson mentre ai pazienti dico di parlare di tutto con il vostro terapeuta. Non abbiate paura di essere giudicati, dategli le informazioni necessarie per potervi essere di aiuto: sono lì apposta.

Non è mai una passeggiata toccare argomenti così importanti ma può fare la differenza. Se ci sentiamo efficaci, se sappiamo da dove cominciare e cosa cercare, lo facciamo più volentieri. L’impegno che mettiamo nel portare a termine un compito o nell’imboccare un percorso è direttamente proporzionale alle possibilità di riuscita. Se abbiamo fiducia nel recupero, recupereremo.

Bibliografia:
Maurer, F. (2019, Giugno 28). Risarcimento del danno per diagnosi non tempestiva: la Cassazione.
Sack, D. (2015, Dicembre 21). The Destructive Power of Borderline Personality Disorder

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Commenti

3 risposte a “Terapie specifiche per il disturbo borderline di personalità e dove trovarle.”

  1. Avatar Patrizia Bassani
    Patrizia Bassani

    Sono borderline sono anni che cerco di risalire dal buio ho trovato questo articolo mi interessa

  2. Avatar Grazia
    Grazia

    Spero sarà così per la mia Alessia, 28 anni, ha appena iniziato l’approccio diagnosticao al S Raffaele, speriamo bene. L’esplosione del disagio è avvenuto all’età di 23,in occasione della mia separazione dal padre, ma sicuramente era già tutto in atto. Era difficilissimo accorgersi di tutto ciò, capivo solo che era un adolescente molto difficile. Adesso sono con lei in questo lungo percorso. Non si molla

    1. Avatar Redazione
      Redazione

      Ciao Grazie, grazie per aver condiviso con noi un pezzetto della vostra storia. Se non lo hai ancora fatto ti invito a partecipare al nostro evento del 18 maggio a Milano, ti allego il link per la prenotazione https://docs.google.com/forms/d/1uitNPm804sxdMZxp6Gd3UwhUQp3BnrBnr69OG_UwsOI/edit sarà un’occasione in più per fare rete e condividere esperienze. Ti abbraccio, Federica