Siamo tutti un po’ borderline: fraintendere il disturbo

Una delle grandi libertà che ci ha dato il web è la possibilità di raggiungere una pressoché infinita quantità di informazioni in brevissimo tempo, basta digitare due o tre sintomi che Google ci comunica una serie di possibili disturbi dai quali potremmo essere affetti.
Una delle più grandi illusioni che abbiamo ereditato dal web deriva proprio dalla facilità con quale possiamo reperire le informazioni, ci sentiamo esperti di qualunque materia senza doverci sforzare di approfondire.
Cosa succede quando leggiamo una delle tante liste di sintomi che caratterizzano il disturbo borderline? Si parla di altalena emotiva, di vulnerabilità, di paura dell’abbandono, di scoppi di rabbia, di ansia… ci sentiamo istintivamente vicini a quelle sensazioni perché le conosciamo tutte o quasi ed è facile cadere nella tentazione di sentire la malattia più vicina di quanto non sia. Ecco che parte la frase che sarebbe meglio non pronunciare e che nessun soggetto affetto dal disturbo vorrebbe sentirsi dire: “Vabbè ma chi non è un po’ borderline? Lo siamo tutti”.
Questo semplicemente non è vero ma frutto di un’interpretazione superficiale di una condizione patologica:
  • avere paura di essere mollati dal fidanzato o dalla moglie non è disturbo borderline
  • avere attacchi di panico non è disturbo borderline
  • non riuscire a frequentare l’università non è disturbo borderline
  • tagliarsi, abusare di alcool o sostanze non è disturbo borderline
E’ vero che in una persona riconosciuta borderline potrebbe verificarsi una o anche tutte queste cose messe insieme ma l’ultima parola spetta comunque ad un terapeuta, l’autodiagnosi non basta.
Quello che per comodità chiamiamo solo “borderline” è una malattia, proprio come la depressione, il disturbo bipolare, quello ossessivo compulsivo e vanno curati da personale competente ed eventualmente con il ricorso ad una terapia farmacologica oltre a quella psicologica.
La sensazione che pervade chi ne soffre è un malessere profondamente radicato e un’angoscia continua che non accenna a passare a meno di non mettere in atto degli atteggiamenti disfunzionali che provochino una scarica di adrenalina ancora più forte.
I modi di fare di difficile comprensione vengono interpretati come un brutto carattere, vizi, capricci ma sono in realtà una sorta di cura fai-da-te di cui la persona non è neppure consapevole. La differenza tra avere o non avere il disturbo è dunque nell’intensità dell’emozione che si prova.
Quello che è tristemente vero è che il disturbo è un’emergenza sociale e che ancora troppo spesso non viene riconosciuto o trattato correttamente, le famiglie sono poco coinvolte o poco informate e ai pazienti vengono troppo spesso somministrati farmaci inappropriati per tentare di stabilizzarli il più a lungo possibile tra una seduta di terapia e l’altra.
Il soggetto borderline ha una predisposizione all’ipersensibilità dovuta anche ad un particolare funzionamento del cervello, come accennato in un precedente post e oltre a questo ci sono anche i fattori ambientali; non dimentichiamoci inoltre che non tutti sono uguali solo perché soffrono dello stesso disturbo.
Condividere informazione e consapevolezza sul disturbo significa anche creare una rete di contatti più efficiente e trasformare un possibile dramma in percorso verso il benessere.

 


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Commenti

2 risposte a “Siamo tutti un po’ borderline: fraintendere il disturbo”

  1. Avatar Maria grazia Saggin
    Maria grazia Saggin

    Tutto vero

  2. Avatar Alessandro
    Alessandro

    Bellissimo articolo!