Borderline e terapia: perché non funziona? L’attenzione

Il disturbo di personalità borderline non è qualcosa di astratto, ha fondamenta molto concrete che affondano le loro radici nella neurobiologia. Alla risonanza magnetica infatti si evidenzia un’amigdala iperfunzionante e una corteccia prefrontale, al contrario, poco reattiva inoltre delle analisi del sangue approfondite mostrano dei livelli ormonali anomali.
In questa situazione di stress oggettivo, il cervello fa fatica a mantenere i corretti ritmi di recupero (sonno-veglia ad esempio) e le ripercussioni sul suo funzionamento sono verificabili. È proprio a questo che il prof. Anthony Ruocco dell’Università di Toronto sta dedicando i suoi sforzi e quelli del suo team di neuropsicologi: la valutazione delle funzioni cognitive nelle persone con disturbo di personalità borderline. Le aree sulle quali si sono maggiormente concentrati sono:
  • Attenzione/Concentrazione
  • Memoria visiva e verbale
  • Funzioni esecutive
Approfondiamo in questo post il primo punto: quello relativo alla difficoltà nel mantenere la concentrazione. “Se qualcuno viene in studio dicendo che ha problemi di memoria, che trova difficoltà a prestare attenzione, consiglio ai dottori di credere al proprio paziente. È un’esperienza reale che giustifica una valutazione neuropsicologica personalizzata, che potrebbe davvero aiutare con la pianificazione del trattamento e di conseguenza migliorare i risultati del trattamento stesso”
L’affermazione del prof. Ruocco assume un senso ancora maggiore considerando cosa si intende con “attenzione”. È questo infatti un concetto molto poco chiaro, ognuno ne dà la propria definizione ma è più basata su un’esperienza empirica ‘(stai attento/non stai mai attento’) che su una consapevolezza oggettiva. L’attenzione è un processo cognitivo della mente che permette di selezionare stimoli ambientali, ignorandone altri e oltre a leggi di selettività è sottoposta anche a leggi di intensità. Basterebbe solo questo a intuire quanto per una persona diagnosticata borderline sia difficile utilizzarla, sapendo che si hanno problemi con la gestione dell’intensità degli stimoli.
Il processo non è finito con l’attivazione dell’attenzione, bisogna infatti essere in grado di mantenere quest’attenzione e quindi concentrarsi sullo stimolo scelto per il tempo necessario ed ecco che entra in gioco la distraibilità. Capita di sentire soggetti diagnosticati dire “cerco di concentrarmi in seduta ma dopo un po’ mi accorgo che sto pensando ad altro” è piuttosto comune e nonostante questo il paziente si colpevolizza. È erroneamente convinto infatti che la mancanza di attenzione dipenda da lui.
La vergogna che ne deriva porta a non comunicare la difficoltà al terapeuta il quale non potrà intervenire su quello che è invece un presupposto fondamentale per la buona riuscita della terapia.
I test somministrati all’Università di Toronto Scarborough sono utilizzati anche per diagnosticare l’ADHD un disturbo dell’attenzione molto sottovalutato nella popolazione adulta. Chi tra i pazienti borderline risulta avere difficoltà attentive potrebbe avere una comorbidità di questo tipo cioè una convivenza di disturbo borderline e ADHD. I due disturbi condividono una serie di sintomi tra cui impulsività, instabilità emotiva e difficoltà nel gestire la rabbia è importante inoltre sapere che i bambini cui è stato diagnosticato l’ADHD sono 5 volte più propensi a sviluppare il BPD in età adulta (Fisher, 2002).
È decisivo in questo tipo di paziente utilizzare delle modalità specifiche di intervento per far si che il lavoro fatto in gruppo e/o individualmente preveda, in caso ce ne sia bisogno, delle brevi pause per recuperare la concentrazione e che i contenuti siano consultabili anche al di fuori del contesto terapeutico. Una delle criticità evidenziate da recenti studi (Fertuck, 2012) è proprio quella relativa all’abbandono della terapia da parte di questi pazienti che può essere addirittura predetto dai test.
 
Ecco spiegato l’interesse della neuropsicologia nell’analizzare il BPD in relazione ai deficit cognitivi. Non è detto infatti che una terapia non funzioni perché non è efficace, potrebbe non raggiungere il soggetto perché in qualche modo inibita da un problema come quello che stiamo oggi proponendo. Si delinea sempre più chiaramente l’importanza di una corretta diagnosi che avvenga attraverso la somministrazione di specifici test e ancor più della gestione del paziente da parte di un’équipe multidisciplinare.

 


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