“Carissimo terapeuta stammi a sentire,
quando varco la porta del tuo studio angosciata come nessun’altro che io conosca, senza riuscire a capire che piega stia prendendo la mia vita, con i miei genitori in sala d’attesa che non sanno più cosa dirmi o cosa fare per alleviare la mia sofferenza, mi aspetto che tu mi prenda sul serio.
Quando non riesco a frequentare più la scuola e mi ribello alla figura autoritaria non mi sto divertendo anche se a volte rido, non faccio la difficile e non sono viziata. Quando i miei amici si allontanano perché ho iniziato a bere o a drogarmi non mi piace ma quello che sento dentro riesco a gestirlo solo così. Quando ti dico che penso al suicidio non sto esagerando e anche se non dovessi provarci mai mentre te lo dico mi sento a rischio sul serio.
Quando non riesco più a gestire i miei figli perché nella mia testa i pensieri sono così stipati che faccio fatica anche a sentirli piangere non mi basta sentirti dire che sono stressata, il malessere che mi fa chiudere in bagno mentre loro bussano alla porta perché vogliono la mamma non è una cosa passeggera e non posso aspettare per avere un aiuto.
Quando penso che li amo ma vorrei non averli mai avuti perché non si meritano che sia io a prendermi cura di loro, ti sto parlando di qualcosa che mi strazia l’anima e pretendo che la risposta che mi darai sarà più articolata di un “ok iniziamo le sedute settimanali da lunedì prossimo”.
Quando ti dico che ho picchiato la mia compagna e che mi sono pentito ma già sento che lo rifarò non voglio che mi guardi come se tu fossi un giudice e io in tribunale ma come una persona da ascoltare perché non è facile ammettere che mi sento un mostro. Quando ti dico che gioco spesso alle macchinette e che faccio fatica a pagarti la prossima seduta mi aspetto che tu sappia cosa dirmi perché sono io il paziente non conosco le risposte ho solo tantissime domande.
Quando ti porto mia figlia, che vedo morire tutti i giorni da anni mentre combatte con la depressione e i disturbi alimentari e siamo già stati in clinica e in ospedale e in pronto soccorso e ai servizi sociali, dal Preside della sua scuola, dal Parroco e l’ultima spiaggia è il cartomante, non mi interessa che mi racconti quanto incompetenti siano stati i medici che l’hanno vista prima di te, voglio solo vederla stare bene.
Quando ti dico che ho passato tutta la mia vita a lottare contro un male che mi sta rodendo l’anima, che ho visto i medici di tutte le specialità possibili e che penso di non uscirne mai, vorrei che tu approcciassi al mio dolore in modo nuovo. Sorprendimi perché alla mia età non riesco a gioire più per niente, non riesco a sperare più in niente. Ho smesso di parlarne anche con i miei cari perché è una vita che mi ascoltano, ho smesso di cercare un aiuto da parte loro ma vorrei ancora che tu mi dicessi che la seconda parte della mia vita potrebbe essere più serena della prima.
Non voglio una risposta preconfezionata anzi non voglio neppure una risposta se non ne sei sicuro.
Non voglio che tiri a indovinare stai parlando della mia vita
Non voglio essere trattato con sufficienza ci pensano già tutti, compreso me
Non voglio che mi consideri un numero ma che ti occupi seriamente del mio dolore
Sii uno scienziato prima di essere un terapeuta, fammi fare dei test come gli altri medici fanno fare degli esami prima di dare una diagnosi e tentare una terapia. Preferisco aspettare anche se potrei odiarti nell’attesa ma voglio sapere cosa pensi di fare e sopratutto perché.
Non preoccuparti delle etichette, non è vero che sono giudizi, una diagnosi è una diagnosi. Un malato oncologico, un diabetico non ricevono giudizi ma terapie mirate e possono ragionevolmente sperare in una cura. Le etichette me le hanno attaccate addosso da tempo e i giudizi li danno solo quelli che non capiscono perché sono quello che sono e faccio quello che faccio. Non è quello che mi aspetto da te.
Non dare tutto per scontato e ricordati che pensare di non dare una diagnosi perché il paziente potrebbe imitare i sintomi di un disturbo o venire influenzato da quello che potrebbe leggere su internet, beh è un modo di intendere il rapporto terapeutico piuttosto vecchio e se c’è questo rischio lo dovrai correre. Sei tu a dover conoscere il mio malessere così bene da poterlo trattare non sono io a doverti facilitare il compito. Considera comunque che non sono qui per prenderti in giro anche se potrebbe essere difficile fidarmi di te.
Infine se ti rendi conto che sono un paziente più difficile del previsto, che non ne hai mai avuto uno come me, che la terapia individuale potrebbe non essere sufficiente non sottovalutarmi e non sopravvalutare te stesso, dimmelo chiaramente e se ci tieni aiutami a trovare qualcuno che sia più preparato. Ricordati che siamo nati nello stesso modo, non sono meglio ma certamente non peggio, vogliamo le stesse cose per la nostra vita ed è proprio la mia vita che ho messo nelle tue mani.
In fede,
Il tuo paziente”